Il Presidente ANCE Catania interviene ad un convegno sulla gestione dei beni confiscati ai boss.
- 2 Maggio 2011
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Prima di iniziare con la mia relazione consentitemi di esprimere una parola di solidarietà per il presidente di ANCE PALERMO, Giuseppe Di Giovanna, fatto oggetto in questi giorni di un vile tentativo di minacce ed estorsioni attraverso una lettera minatoria.
Giuseppe Di Giovanna ha denunciato e continuerà a farlo e noi tutti saremo al suo fianco. Le due giornate, ieri pomeriggio e questa mattina, insieme al documento della FILLEA hanno un grande merito:
Avere evidenziato con forza il problema.
A mio parere occorre però aggiustare il fuoco sui beni confiscati e non sulle imprese confiscate.
Sono due cose diverse.
L’impresa è un elemento organico, vivo, che ha bisogno di teste, di pensieri per vivere. Il bene è una cosa stati che assolve ad una funzione, chiunque lo detenga.
Molti sono i tecnicismi trattati, non voglio parlarne perché chi ne ha parlato lo ha fatto con estrema padronanza e professionalità.
Desidero parlare dell’aspetto più generale, dell’impatto che il problema ha nella società. Nel frontespizio dell’invito alla manifestazione è riportato un pensiero di Paolo Borsellino: La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti al fresco profumo della libertà………
Pensiero da condividere e da anteporre a qualsiasi iniziativa che si vuole occupare di problemi di legalità e di lotta al fenomeno mafioso.
In questi due giorni mi è apparso che l’obiettivo principale sia quello di salvare posti di lavoro senza analizzare altre implicanze di carattere sociale e generale.
Salvare posti di lavoro è sicuramente obiettivo meritevole di attenzione.
Ma una riflessione va fatta: in Sicilia negli ultimi 20 mesi in edilizia si sono persi circa
30.000 posti di lavoro. Avevano il diritto alla conservazione del posto di lavoro. Nessuna sollevazione popolare, nessuna manifestazione.
A Termini Imprese gli operai SICILFIAT alla fine dell’anno, forse, saranno licenziati. Sono
1.500 o 2.000 operai anche loro hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro. Per loro sono state organizzate manifestazioni di carattere regionale e nazionale, la ferrovia e l’autostrada sono state bloccate più volte.
Per gli operai edili no. Forse essi sono figli di un dio minore?
Quanti sono gli operai che perderanno il posto di lavoro a causa delle confisca delle imprese mafiose?
Voi dite di non conoscerne il numero. Ma hanno questi maggiore dignità rispetto ai 30.000 licenziati negli ultimi mesi?
I posti di lavoro non si salvano mantenendo in vita l’impresa mafiosa.
L’impresa mafiosa, i cui dirigenti, i cui titolari sono mafiosi non può che essere mafiosa. Fa parte di una rete, è collegata ad un sistema dal quale non ci si può sottrarre.
Non è realizzabile, se pur lodevole ai fini della difesa della forza lavoro, il tentativo di bonificarla, di sottrarla alla influenza della mafia.
La mafia,e di conseguenza l’impresa mafiosa, agisce nella società come il tumore agisce nel corpo umano.
Il tumore, quando si diagnostica, si opera subito, si estirpa, sperando di prenderlo in tempo, prima che la sua metastasi si sia diffusa.
Il chirurgo, durante l’intervento segue la traccia della metastasi e la insegue fin dove possibile, nel tentativo di bloccarne la crescita.
Poi si passa al trattamento di Chemioterapia.
A volte, dopo la Chemioterapia, dopo un’apparente guarigione, si ha un ritorno della malattia, che molto spesso conduce alla morte.
Questo succede, quasi sempre, nella nostra società quando, nel lodevole tentativo di salvare alcuni posti di lavoro, si tenta di salvare dalla chiusura una impresa sequestrata e confiscata alla mafia, un’impresa mafiosa.
Un’impresa, anche se ha operato con regole corrette, ha operato in un mercato protetto, un mercato drogato.
Un mercato dove regole e sistemi non sono la pacifica concorrenza ma la violenza e la sopraffazione.
Un mercato nel quale i lavoratori, che ora si vorrebbero salvare, hanno goduto di queste condizioni di privilegio, impregnati nel sistema di connivenze, complicità, violenze, sopraffazioni.
Un sistema del quale gli stessi lavoratori, non so quanto inconsapevoli, sono stati strumento e veicolo.
Non si può avere la presunzione che basta cambiare un dirigente, un amministratore, dettare nuove regole, che la macchia possa camminare senza intoppi e nella direzione voluta che sono:
La legalità, la correttezza, la trasparenza.
Occorre sostituire tutto quello che gira intorno alla vita stessa dell’azienda: Le forniture, i clienti, il reparto commerciale, la manutenzione.
In altre parole il male minore sarà chiudere l’azienda.
Smantellare i macchinari e distruggerli. Non rimetterli nel circuito delle macchine usate. Non inseguire il valore residuo.
Trattare con eventuali creditori per residui di credito sulle pregresse forniture con il sistema del concordato preventivo addebitando i costi ad un fondo che verrà alimentato dalle somme sequestrate alla mafia.
Se esistono impianti, stabilimenti o opifici: demolirli. Pulire, sgomberare tutte le aree e destinarle a verde pubblico: Un parco che possa essere utilizzato da tutti e che possa essere di esempio alla società intera.
I lavoratori, pochi o molti che siano, dopo un attento controllo, con i sistemi della polizia e della magistratura, potranno, anzi dovranno essere accompagnati, con il sistema della mobilità, ad una altra opportunità di lavoro.
Solo uno per ogni azienda.
Mai collocarne due, provenienti da un’impresa sequestrata, nella stessa azienda. A costo di ripetermi, anche in questo caso desidero riferirmi ad un esempio che cito spesso, chi mi conosce sa che sono un appassionato di cucina:
Se tu sosti in una cucina mentre si stanno friggendo melanzane, uscendo odorerai di fritto di melanzane e non potrai dire che tu non hai fritto le melanzane.
Se le imprese sequestrate,
nel tentativo di salvare posti di lavoro,
saranno accompagnate per un breve o medio percorso con norme agevolative,
con condizioni di mercato più favorevoli rispetto a tutte le altre imprese del mercato sano, costituiranno elemento di turbativa del mercato.
Illecita concorrenza nei riguardi di quelle aziende che di quelle condizioni non godono. Riprodurranno lo stesso modello economico di vantaggi nei confronti delle imprese da sempre sane che devono soffrire e subire la loro concorrenza.
Ci sarà sicuramente qualche esempio riuscito, che contraddice il mio pensiero. Ma solo qualche esempio isolato.
Al contrario, i casi di tentativi completamente falliti sono molto numerosi, non sta a me citarli.
Ce ne sono alcuni, portati ad esempio virtuoso, sui quali forse varrebbe la pena indagare. Sarà sufficiente, per appurarlo, esaminare i bilanci ed i report di amministrazione delle imprese così dette recuperate.
Occorre anche analizzale la vita di alcune imprese sequestrate alla mafia ed affidate per la sua gestione, ad un commissario giudiziario o prefettizio.
Persona sicuramente onestissima e correttissima, ma molto spesso digiuna di tecniche di gestione aziendale o di amministrazione.
Ed in questi due giorni abbiamo visto, per voce di magistrati e studiosi, come sia difficile trovare amministratori competenti.
Trovare una soluzione è interesse di tutti, fate rete diceva il dott. Menditto. Io vi dico: Facciamo rete.
Tutti vogliamo essere messi in discussione diceva Totò Lo Balbo, anche noi imprenditori vogliamo essere messi in discussione.
Censire i lavoratori delle imprese sequestrate, conoscerne il loro numero è importante. Ma in Italia la pubblica amministrazione fa acqua da tutte le parti.
Per l’INPS si dovrebbe trattare di premere un tasto, ma l’INPS è un disastro.
Facciamo un percorso comune attraverso gli enti paritetici, distribuiti in maniera capillare su tutto il territorio nazionale.
Cercheremo di conoscere in tempo reale, attraverso indagini locali, le realtà di ogni territorio.
Acceleriamo, per quanto di competenza di ognuno di noi, la messa in rete delle casse edili.
Ad oggi non si parlano, non dialogano. Mettiamole in rete.
Condivido quanto rilevato dal professore Fiandaca, la presenza di un velato retropensiero protettivo nella lettura del documento presentato.
Non dimentichiamo i danni prodotti in tutto il paese, ed anche in Sicilia, della famigerata legge Prodi che avrebbe dovuto accompagnare le imprese in difficoltà ed ha invece sperperato centinaia di miliardi di vecchie lire consentendo a burosauri di varia nomina politica di lucrare stipendi, prebende, trasferte, missioni e varie ed eventuali per decine di milioni al mese: Tre amministratori per ogni azienda più consulenti legali ed amministrativi, uno o più di uno per ogni amministratore.
Non sono riusciti a salvare nemmeno una impresa, un campo di sterminio al loro passaggio.
Se riprendiamo il discorso delle Imprese confiscate ed affidare ad amministratori nominati dalla magistratura o dalla prefettura osserviamo che molte di esse sono di fatto tornate
nelle mani della vecchia famiglia mafiosa che ha continuato ad amministrare con gli stessi uomini, mezzi e sistemi precedenti al sequestro.
Si sono verificati casi, in Sicilia, di incursioni di polizia durante summit mafiosi tenuti nei locali dell’azienda sequestrata e gestita da commissari.
A mio modesto avviso le imprese sequestrate alla mafia vanno chiuse, non devono più operare nel mercato.
E’ questa l’unica soluzione, nel superiore interesse della società tutta, della giustizia e della moralità.
Interesse per il quale Magistrati, Forze di Polizia, Giornalisti, Imprenditori e Cittadini inconsapevoli hanno perso la vita.
La soluzione è una ed una sola: Chiudere le aziende sequestrate, smantellare i loro opifici in modo da non lasciare tracce della loro esistenza.
Occorre rafforzare i filtri attorno alle imprese sane, creare come un cordone sanitario affinché lo sviluppo e la crescita siano regolari.
Combattere i fenomeni affaristico-mafiosi non è affare semplice.
Da un lato le norme che sempre più diventano intricate e complesse, da un altro lato la burocrazia che a volte per insipienza o ignoranza, a volte per interesse o convenienza, contribuiscono a rendere la macchina burocratica farraginosa, complessa ed inestricabile. Si è persa l’etica, l’etica in generale e l’etica del lavoro in particolare.
Occorre puntare su condizioni di parità, di eguaglianza tra tutte le imprese, tra tutti i protagonisti della filiera.
Senza se e senza ma.
Altro discorso va fatto per i beni confiscati.
Mi pare corretta l’osservazione, del giudice Paci: vendere i beni confiscati comporta il grave e concreto rischio che essi tornino di nuovo nelle mani della mafia.
Una soluzione si potrebbe trovare: consentire alle forze di polizia ed alle varie amministrazioni pubbliche di utilizzarli come alloggi di servizio o di rotazione, con un canone calmierato, che andrebbe ad alimentare quel fondo che si pensa di utilizzare per accompagnare i lavoratori in cassa integrazione.
Insisto: la lotta alla mafia, al sistema di connivenze burocratico-polico-imprenditoriale- mafioso va condotta ad oltranza.
Senza se e senza ma
Assistiamo in questo periodo, dichiara il giornalista Andrea Mascolini sul quotidiano Italia Oggi del 30marzo scorso,
“ L’ Europa decreta il ricorso alle gara d’appalto per l’affidamento delle opere pubbliche e l’Italia sta procedendo, al contrario, a suonare il de profundis per il sistema delle gare d’appalto liberalizzando il ricorso alla trattativa privata, senza bando di gara, per lavori fino ad un milione e mezzo di euro “
Secondo le norme in corso di emanazione saranno invitate al massimo tre imprese, con procedura ristretta e riservata, prelevandole da un elenco del quale disporrà l’amministrazione.
Senza pubblicizzare la gara ne il suo risultato.
Il falso obiettivo e quello di sburocratizzare, snellire, semplificare le procedure.
Il vero obiettivo, comune a politica, burocrazia e una parte, abbastanza consistente di imprenditori,
e quello di lavorare con le mani libere, cercando connivenze, complicità. Interessi comuni nei quali la corruzione sarà la vera protagonista di questi affari. Senza limite di latitudine o partitico.
Già li vedo,
questi faccendieri da tre soldi,
fregarsi le mani nel fare anticamera davanti alla stanza dell’assessore o del burocrate per programmare la gestione di queste pseudo gare d’appalto.
Altro esempio, in Sicilia, ci viene dal nostro Governo regionale.
Da più parti si cerca di attirare l’attenzione sulle condizioni estremamente precarie degli edifici scolastici di ogni ordine e grado della nostra isola.
Voi penserete che finalmente il Governo Regionale ha provveduto, con le condizioni proprie di una situazione finanziaria molto precaria, ad un piano di ristrutturazione degli edifici scolastici.
No! Niente di tutto questo.
Si è pensato invece di finanziare una serie di CANTIERI DI LAVORO. In Sicilia tanto vituperati, ma mai come in questi momenti.
Leggiamo dalla introduzione del manuale pratico per la gestione dei cantieri di lavoro per disoccupati a firma di Alessandra Russo, Dirigente Generale Dipartimento Regionale del Lavoro, leggiamo:
Dopo anni di relativo silenzio i cantieri di lavoro per disoccupati grazie all’art. 36 della legge Regionale 6/2009 sono tornati in auge in maniera quasi dirompente e rappresentano al momento una grande sfida per tutta la Sicilia ….. in un arco
temporale sostanzialmente breve circa 200 milioni di euro produrrà innegabili effetti positivi per l’economia Siciliana differiscono da quelli finanziati negli anni
passati in quanto il finanziamento dell’intero programma è a carico dei fondi FAS
………..
Si sono distratti fondi destinati ad investimenti alle infrastrutture e non a mero assistenzialismo.
E le scuole possono aspettare. Qualche soffitto crolla, qualche ala viene chiusa.
Nella direzione più ampia e generale della politica del Governo Nazionale le scuole sono un peso per lo stato.
Le scuole pubbliche però.
Non le private che vengono finanziate abbondantemente.
l nostro presidente del consiglio sostiene che nelle scuole pubbliche si insegnano norme contrarie alla famiglia.
Qualunque commento sarebbe doveroso ma, forse, gratuito. Le scuole però non votano.
Gli operai dei cantieri per disoccupati si.
Tutto il mondo che ruota attorno ai cantieri per disoccupati si.
Altro clientelismo, alimentiamo il clientelismo ma anche la corruzione.
Gli appalti per le forniture necessarie alla esecuzione dei lavori previsti in questi cantieri vengono affidate, con il sistema della trattativa privata, invitando tre imprese prelevate, senza bando, dall’amministrazione comunale tra le ditte iscritte in apposito elenco.
Il tutto senza nessuna pubblicità. A pensar male……..
Se in questi giorni vi capita di girare per le periferie delle nostre città, dei nostri paesi incontrerete gruppi di persone, definirli lavoratori proprio non mi va.
Gruppi di persone che abbigliati con fiammanti tute da lavoro giallo arancio ad alta visibilità, elmetti gialli, scarpe antinfortunistiche, guanti da lavoro e qualche attrezzo, appoggiato da un lato.
In gruppi di cinque o sei, amabilmente conversano sulle condizioni del tempo, sul rendimento della squadra del cuore o di altre facezie.
Nessuno, nel bene o nel male, che parli di politica. Ognuno di loro ha un padrino al quale essere devoto.
Sono gli operai dei cantieri di lavoro per disoccupati. Disoccupati erano.
Disoccupati resteranno.
Un vecchio saggio Cinese recita: Dai ad un uomo un pesce e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare, lo nutrirai per tutta la vita.
Abbiamo perso l’etica del lavoro.
Del lavoro che dà dignità alla persona che lo esercita, qualunque sia la sua funzione: Operaio, dirigente, professionista, impiegato, imprenditore.
Si anche l’imprenditore mi pare che abbia perso l’etica del lavoro. Anche l’imprenditore cerca le scorciatoie.
Una volta rivolgendosi alla mafia, una volta alla politica, una volta alla burocrazia. Sempre nella direzione della ricerca della strada più semplice, della strada più facile per un guadagno senza impegno, un guadagno da rapina.
Abbiamo perso l’etica del lavoro. Dobbiamo ritrovare l’etica del lavoro.
Dobbiamo ritrovarla, tutti insieme, tutti uniti, senza scorciatoie.